Nel mio libro d’artista, Il cassetto della memoria, c’è un’opera a cui tengo molto. Raffigura un uomo e un canarino dal caratteristico colore giallo, che vola fuori da una gabbietta. Si tratta di un lavoro su “carta a mano”, eseguito con inchiostro nero, solventi e collage fotografico. È stato ispirato da una foto che raffigura un momento che io considero iconico della mia infanzia. Per questo ho scritto un breve racconto, per spiegare meglio il suo significato.
L’uomo che parlava al canarino
“Il giorno in cui arrivò io c’ero. Era una di quelle giornate di inizio primavera che non puoi fare a meno di aprire la finestra e guardare fuori. Invece lui entrò, più incuriosito che spaventato. Si appollaiò sulla spalliera del letto, si guardò intorno e, voglio pensare, decise che quella sarebbe stata casa sua. L’uomo, in uno dei suoi primi giorni di pensione, quando ancora non sapeva come spendere quel tesoretto di ore mai avuto tra le mani, gli si sedette accanto. Si guardarono a lungo. Si annusarono. Si piacquero. L’odore degli uccelli, quel misto di penne, piume, semini, polvere, escrementi, anche molti anni dopo, è per me odore d’infanzia, di affetto, di casa.
L’uccellino non scappo via. Con un piccolo balzo si poggio sulla spalla dell’uomo e non lo lasciò più. Mangiava dalle sue mani, viveva in una gabbietta che ogni giorno si apriva per permettergli di volare fuori. In quei momenti, l’uomo fischiava motivetti inventati o canzoni di guerra, di quando era giovane. L’uccellino rispondeva fischiando a sua volta melodie che solo la natura sa creare. A me è sempre parsa una grande amicizia. L’uomo si riempi le giornate, che rischiavano di essere state svuotate dalla mancanza di un lavoro, accudendo il piccolo compagno e quella che, poco alla volta, divenne una grande famiglia. L’uccellino non ebbe mai un nome, non aveva importanza, non serviva per chiamarlo, non serviva per parlarsi. Quell’uomo, invece, si chiamava Enrico, ed era mio nonno”.