Chi è MONICA SORI

Monica Sori vive a Milano, sua città natale. Ha lavorato come giornalista, anche in qualità di direttore, per le più importanti testate italiane di benessere, salute, scienza, cucina. I temi scientifici e ambientali sono sempre stati al centro della sua carriera in ambito editoriale. Dal 2001 inizia a disegnare e dipingere per passione, ma è nel 2020 che decide di fare dell’arte la sua nuova professione e la sua scelta di vita.

La prima volta che ho pensato che mi sarebbe piaciuto disegnare e dipingere avevo 7 anni. Ho partecipato a un concorso interscolastico e, poco convinta delle mie capacità, non mi sono presentata alla proclamazione del vincitore… ma ho vinto! Da allora in poi i colori hanno accompagnato la mia vita.

In un primo tempo l’artista si accosta alla pittura accademica e di genere, producendo acquarelli e opere a olio su tema paesaggistico o di nature morte, non dimenticando la figura e i ritratti. È del 2006 la svolta artistica, quando incontra Anna Bocchi, del Laboratorio Sincrasi, e il suo approccio alla pittura si fa più concettuale, meno realistico. Cambiano i supporti: oltre alla tela, l’artista impiega carta (d’incisione e “a mano”), cartone, tavole di legno anche di recupero… I classici colori a olio stesi con i pennelli sono integrati da inchiostri, acrilici, gessetti, grafiti e collage con carte di recupero, aprendosi alle tecniche miste nel senso ampio del termine. Ogni quadro è un pezzo unico, con soggetti che richiamano a ciò che l’artista ha intorno a sé, la sua vita, la sua città, i suoi viaggi, ma interpretando la realtà attraverso le proprie emozioni alla ricerca dell’essenza del tutto. L’utilizzo di tecniche via via differenti, dal collage al grattage al dripping e di strumenti che vanno dalle spatole ai rulli alle spugne le permettono di raccontare il mondo esteriore con gli occhi dell’anima in una ricerca continua della texture più adatta in quel momento: ruvida, materica, sporca come la terra oppure fatta di trasparenze e luce come l’acqua e l’aria. È proprio attraverso i quattro elementi naturali, sempre presenti nelle opere dell’artista anche in quelle più concettuali, che si realizza l’alchimia dei materiali: il liquido degli inchiostri che gioca con l’acqua, la sabbia e le carte stratificate che si trasformano in roccia, la cera mischiata ai pigmenti che con il fuoco della tecnica a encausto dà vita a sorprendenti effetti di colore e forme che, sempre più liberandosi dall’abbraccio della realtà, lasciano spazio anche all’interpretazione di chi guarda. È nei viaggi, o meglio nel viaggio della vita, che l’artista fa scoprire la sua vera essenza: una continua ricerca e un incessante cambiamento come manifestazioni di un’estrema curiosità verso ciò che vede, dagli spazi infiniti di paesaggi poco esplorati alle mura della propria casa e delle metropoli. Ma anche curiosità verso tutti i mezzi espressivi e gli strumenti adatti per raggiungere, attraverso la visione esteriore, il suo più profondo sentire.

“Da un mio zio paterno ho preso la passione per i viaggi e la pittura. Lui era riuscito a farne la sua vita, io ci sto provando…”

Premi
e riconoscimenti

Una sua opera “Basta un pallone per…” è compreso nel libro “Immagini di sport – Dalle origini al XIX secolo” di Tiziana Pikler, per il quale ha vinto anche una menzione speciale al concorso di pittura: “Il linguaggio universale dello sport”.

Dicono di lei

SINTESI E SPERIMENTAZIONE

 

Monica è una donna dotata di grande sensibilità e intuizione. Ma ha anche forte dentro di sé il potere dell’intenzione, ed è così intensa la sua urgenza espressiva che la porta ad andare sempre avanti e a creare una personale fusione tra espressione e astrattismo.
Ricordo quando è arrivata nel mio laboratorio nel 2007, si è presentata come persona riservata, con già alle spalle una discreta esperienza pittorica, ma ampia è stata la sua disponibilità a mettersi in gioco creativamente e notevole è stata la sua capacità di ascolto e di relazione, tanto da divenire negli anni un punto di riferimento importante anche per altri allievi del laboratorio.
Curiosità e desiderio di conoscenza l’hanno portata poi negli anni ad avere sempre più un rapporto diretto e concreto con il processo del “vedere” e a vivere i materiali artistici, sperimentando svariate tecniche miste. Durante questi anni ha dato spazio ancor di più al suo potenziale creativo ed espressivo integrando la realtà esterna con il suo mondo interno e il suo sentire.
Monica è autentica, sintetica ed essenziale nel suo dipingere, come nella vita. Non si irrigidisce in dettagli descrittivi inutili e non perde di vista la vitalità dell’insieme del suo lavoro.
Spero che il laboratorio Sincrasi sia stato per lei fonte di motivazione a sperimentare senza paura e senza giudizio, come un “Fronte per la liberazione dell’Arte” che sempre più va verso la cultura della Bellezza e della Libertà.
Le auguro che la sua avventura creativa continui a donarle gioie (e dolori!) oltre a essere una giornalista che sa scrivere, oltre ad essere, o fare, il mestiere d’artista, che sente l’urgenza di dipingere.

PAESAGGI DELL’ANIMA

Quello di Monica Sori è uno stile inconfondibile, eppure mai uguale a se stesso, sempre squisitamente espresso secondo l’ispirazione del momento. Forme e colori trovano la loro completezza attraverso l’ausilio di tecniche antiche e moderne che l’artista destreggia con savoir-faire calibrato. Dall’encausto al collage, dall’acquerello alle inedite bustine del tè ogni sua sperimentazione risulta armoniosa –  capita spesso di rimarcare quel delicato ed efficiente equilibrio interno che regola il suo senso della bellezza – né troppo né troppo poco. Come succede ai creativi più avvezzi, ella sa esattamente quando posare il pennello, deporre le armi, allontanarsi dalla creatura.
Partiamo quasi sempre dalla natura, da un dato fenomenico, uno sprazzo di luce, il fragore del mare, un volto animale… ma in seguito emerge una trascendenza. Il dipinto rispecchia una parte della sua anima, talvolta invece si tramuta in un simbolo universale, sono tante le strade che si possono intraprendere quando, come lei, ci si pone in ascolto, in attesa del divenire.
Amorevoli sequenze nel tempo come in Buio e Luce si susseguono sotto lo sguardo incantato dell’artista. Guarda verso l’alto per capire le rivoluzioni nel cielo, il gioco delle nuvole, le ombre colorate sulla terra. Poetiche spedizioni di “skying” che derivano dallo spirito empirico di un Constable, il quale asseriva che il cielo è la nota più importante in un paesaggio. Il cielo governa tutto il mondo sottostante incluso le emozioni e i pensieri dell’uomo, e così, quella luce divina si congiunge alla materia prima dell’artista, tutto si trasforma e si moltiplica sulla tela.
Talvolta occorre elevarsi, cambiare prospettiva, guardare il cielo nell’Acqua, uno spaccato di oceano che respira con ritmo regolare sulle rive della terra. Quante volte abbiamo abbracciato il paesaggio con uno sguardo dall’alto? Il caldo encausto si coagula per permetterci di rivivere questa sensazione in un quadrato perfetto. Eppure, le sue tinte metafisiche raccontano una storia d’impalpabile eternità. Se solo si potesse tradurre la fisicità dell’anima in colore, questa sarebbe la sua palette.
Chi ama la natura non potrà privarsi dell’Albero d’oro, delle piccole reminiscenze di una terra incontaminata, del felice radicamento interiore che solo il profumo della campagna può regalare. Chi ama profondamente la natura riconoscerà benissimo anche quel sacro portale tra i rami, quella stanza segreta dentro al suo spirito. Quando la mente dell’artista scollina oltre la coscienza trova l’universo invisibile, il tesoro collettivo, la scintilla di corrispondenze tra uomini e donne attraverso il tempo. La lucida intuizione di indicare la domus aurea dell’universo nella chioma di un albero avrebbe emozionato moltissimo il vecchio Rousseau, affascinato com’era dal misticismo delle foreste.
Alle soglie del Bosco Monica pare scovare ancora quello strumento alchemico-artistico che le permette di spaziare agevolmente tra una dimensione e l’altra, sovrapposizioni temporali tra tronchi luminosi, il loro dondolio tra i contorni liquidi del paesaggio ha il potere dell’ipnosi.
Il suo è un sottile dialogo in perfetta osmosi tra l’esperienza visiva e l’urgenza creativa, le differenze si risolvono magicamente tra gli elementi della sua pittura. È un colloquio amorevole che si consuma anche in un Campo di grano: un piccolo gioiello in oro, turchese e ruggine che ha la potenza di un rogo; una grande forza racchiusa in pochissimi centimetri di cartone vegetale. Questa immedesimazione ravvicinata nel folto delle spighe taglienti, questo confondersi con la materia fino ad ardere con essa, si alterna ai momenti in cui l’artista prende le distanze dall’essenza e ci accompagna nel viaggio più melanconico, verso un Cielo nero di rara bellezza. Due piccoli scogli solitari di nero basalto in mezzo al mare evocano uno scenario mitologico. I miti di Cariddi, Scilla e le isole Ciclopi paiono risorgere con il loro tormento, forze oscure della natura si scatenano nell’immaginazione e si rispecchiano in quel cielo glorioso e simbolista.
Del resto, come Jung insegna, il viaggio più lungo e più importante è sempre quello cha va verso l’interno…